domenica 1 febbraio 2015

CORPO, MOVIMENTO E AGONISMO NELLA SOCIETA' POSTMODERNA (Dalla conferenza "Educazione ed Agonismo" 1989) di Daniela Ripetti-Pacchini


   Lo sport come esperienza d'autosviluppo

Esistono diverse ragioni per cui l'ambiente dell'educazione e della cultura in genere possono stringere o rafforzare nuove o antiche alleanze con l'ambiente dello sport.
La fase storica attuale si presenta, per complesse ragioni socio-economiche la cui disamina è impossibile in questa relazione, contrassegnata da punti critici, "dissipativi" (direbbe il fisico I. Prigogine), che attraversano anche aree come l'educazione e la cultura, lo sport, l'istituzione famiglia, la società nel suo complesso, direttamente coinvolte nel nostro discorso.
La presenza di gestalt instabili, fluttuanti nel campo sociale e istituzionale, implica anche la possibilità di una loro trasformazione in senso evolutivo o involutivo, spetta perciò in buona parte a tutti noi saperle utilizzare per facilitare cambiamenti positivi dei processi in corso.
Nel settore dell'educazione e della cultura (filosofia, psicologia ed altre scienze o arti) è entrato sempre più in crisi il modello concettuale di scotomizzazione e rimozione dell'esperienza e dell'espressione corporea, connesso ad una pratica tutta intellettuale della paideia, come pure ha cominciato a problematizzarsi il modello che prende in considerazione il corpo, ma in funzione di un suo dominio più o meno esplicitamente coercitivo. L'educazione coercitiva aveva infatti scoperto il corpo, ma per piegarlo, sorvegliarlo, ortopedia sociale funzionale a determinati contesti socio-economici antivitali e mortiferi.
L'attuale rivalutazione del corpo (nelle scienze psicologiche, nella psichiatria, nella filosofia, nella cultura e sub-cultura dei mass-media) è perciò un fenomeno bifronte: da una parte se ne può infatti dedurre una effettiva liberazione della corporeità, lo slacciamento dei rigidi e deformanti corsetti, dall'altro invece tale rivalutazione si può inscrivere nella linea di un più avanzato e sottile controllo poliziesco del corpo sotto le mentite e nude spoglie di immagini e pratiche corporee ridondanti e pervasive in ogni luogo. (Nuova forma mercuriale di coercizione che sottrae i corpi alla libera esperienza intima, personale, duale). Siamo letteralmente inondati di immagini corporee, di eccessi e decessi di corporeità, ma il corpo dov'è?
Parlare del corpo è significativo, perché è in base alla cultura che si ha di esso, che varia anche il significato attribuito allo sport e all'educazione sia generale che motoria.
Se infatti il corpo viene svalutato e la sua materialità è messa in ombra, ecco che lo sport e l'attività fisico-motoria che lo concernono, vengono giocoforza svalutate e considerate una parte accessoria dell'educazione globale.
Se invece il corpo è riconosciuto nella sua materialità e l'intelligenza è vista come parte di questa materialità oltreché dei processi storico-sociali, comunicazionali (che determinano in buona parte l'organizzazione e la specificità dell'unità organismica), allora anche le attività motorie acquistano nuova luce e importanza.
Si possono quindi sviluppare due direzioni e due impostazioni nella concezione dello sport. La prima è una concezione moralistico-coercitiva in forme più o meno esplicite e mascherate. Tale concezione la si ritrova non solo nella vecchia pedagogia autoritaria che mirava a creare menti e corpi assoggettati ad autorità ben identificate (come ad esempio nel fascismo), ma anche in una più moderna concezione di sport estremamente laicizzata e tecnologizzata, che prevede il controllo e il dominio della corporeità per raggiungere obbiettivi quali l'assoggettamento e il disciplinamento tout court della persona, la repressione di tendenze vitali e razionali come l'aggressività o gli impulsi sessuali "naturali", la riconferma attraverso l'immagine pubblicizzata del campione sportivo di valori dominanti come la concorrenza spietata, la tendenza a sopraffare, lo sfruttamento commerciale e la mercificazione della persona e dei rapporti (ben lo ricordava anche Paolo Casini in Cultura, educazione e sport, 1987). Ancora una volta si tratta della messa in scena di un corpo senza corpo.
L'uscita dall'Olimpo degli antichi, lo sganciamento del ludus, del gioco dalla cornice mitologica e religiosa che divinizzava anche i giocatori nella loro ricerca di autorealizzazione e perfezione psicofisica, non ha rappresentato un'evoluzione ulteriore nella concezione del gioco, dell'arte di giocare - quanto piuttosto un suo scadimento - se lo sport vive alienato nella dimensione moralistico-coercitiva.
Ma lo sport, in relazione ad una diversa idea e rapporto col corpo, può essere inteso in modo diverso, e precisamente come ludus, come festa, come strategia per sciogliere (e non creare) corazze muscolari, riattivare la mobilità in strutture tese e irrigidite, può essere inteso come competizione ludica ed esperienza d'autosviluppo.
Con questo modo d' intendere lo sport non mi riferisco solo al fenomeno importantissimo e sempre più diffuso tra la gente della pratica sportiva in prima persona ed in modo totalmente ludico ed amatoriale, ma anche ad un possibile ed auspicabile modo di vivere lo sport d'élite. Le maggiori difficoltà ed ambiguità d'intendimenti emergono infatti soprattutto in questo settore ed è in rapporto ad esso che si rende più necessaria l'educazione allo sport ed il ruolo di una non superficiale cultura sportiva filtrata dalla scuola e dai mass-media affinché lo sport sviluppi realmente tutte le sue potenzialità educative. A questo punto va definito però un altro concetto, quello di agonismo, di competizione, da cui dipende grandemente il modo di praticare, organizzare, formare allo sport, ma anche l'attività pedagogica in generale.
Come il gioco l'agonismo è una motivazione primaria che spinge alla pratica sportiva ed è una motivazione che comincia ad emergere nella seconda infanzia (6 - 11 anni) come bisogno di confrontarsi e misurarsi con gli altri e non solo nelle attività motorie.
L'agonismo è basato in parte sulle tendenze aggressive dell'essere umano, disposizioni che contrariamente a concezioni idealistiche e mistificanti, non considero né antivitali, né negative.
Non esistono infatti in natura istinti e azioni aggressive e sessuali antivitali, esse lo diventano solo con il libero arbitrio e la ragione umana in contesti socio-economici che pervertono le funzioni vitali ed in cui l'alleanza con la natura è persa.
Occultare questo, significa occultare il ruolo giocato dalle strutture socio-economiche nel favorire l'alienazione e la brutalità umana e il non volersi assumere la responsabilità di cambiarle.
La competizione diviene nevrotica e brutale solo quando si carica dell'aggressività distruttiva, sadica (generata da frustrazioni e rimozioni di bisogni ed esigenze sane come ad esempio la sana aggressività nel rivendicare i propri diritti, il bisogno d'amore, ecc.), solo quando in essa vengono incanalate richieste che dovrebbero agire altrove.
Si dice che nello sport di per sé c'è violenza perché c'è agonismo, competizione, ma non si dice una cosa corretta, perché è necessario competere e definire lo stesso termine di competizione nel modo adeguato.
Cùm pètere significa infatti "dirigersi verso" un certo obbiettivo, ed anche "cercare insieme" ad altre persone che mirano al loro autosviluppo, la ricchezza e il limite delle proprie potenzialità attraverso il confronto reciproco e la sfida, senza distorcere l'immagine dell'avversario o essere spezzati da essa. (Questo è anche il significato originario dell' "agone", della gara fondata su un deciso impegno e spirito di emulazione).
Il vero grande atleta è in questo senso un esploratore, uno scopritore di nuovi mondi interiori che riesce a comunicare anche agli altri, divenendo a sua volta un facilitatore delle altrui potenzialità.
La competizione creativa, in cui è possibile accedere a "peak experiences" (esperienze di punta, raggiungimento di uno stato alto e altro della mente), si differenzia così dalla competizione nevrotica (riduttiva e distorcente) e definisce la pratica sportiva come pratica conoscitiva attraverso la strada maestra del corpo. E' in effetti proprio nel conflitto, nella sfida, che l'uomo mette in gioco tutto se stesso, rivela la propria unicità, può bilanciare le unilateralità e superarsi giocando nuovi giochi.
Nella competizione creativa tendono progressivamente a ricomporsi gli aspetti apollinei di regolazione razionale del comportamento (non di autocontrollo e corazzamento ossessivo), con gli aspetti dionisiaci di gioco, di festa, di liberazioni di motivazioni profonde.
Solo considerando in questo modo la competizione l'atleta diviene automotivato e, al di là di gratificazioni esterne, di premi, riconoscimenti e beni (ossessivamente essenziali all'atleta nevrotico per compensare il suo senso interno di vuoto e di non valore), può vivere una lunga e comunque significativa carriera sportiva.
E' per promuovere questa idea di agonismo che l'Unità Operativa di Psicologia dello Sport di Tirrenia opera utilizzando strategie autoregolative d'autosviluppo (da intendersi come approcci favorenti la flessibilità in chi le usa e non tecniche repressive d'autocontrollo per programmare ottusi oggetti meccanici) nel settore sportivo più d'élite, per far sì che il mondo dello sport in tutti i suoi aspetti, sia veramente una scuola, un'area di facilitazione dell'individuazione della persona.
E questo è tanto più significativo quanto più diviene evidente il potenziale di rischio rappresentato dall' istituzione famiglia, anche nella sua versione più moderna. Non mi riferisco qui a quegli insiemi "naturali" di persone unite da rapporti d'amore e di passione, quanto a quell'organizzazione coercitiva altamente formalizzata e azienda (piuttosto diffusa per la verità) che lo psichiatra W. Reich definiva come "famiglia coattiva".
Nella famiglia e nel neofamilismo contemporaneo si è assistito infatti ad uno spostamento dei figli "da una posizione relativamente periferica, ad una posizione di assoluta centralità", ma questo fatto invece di recare grandi vantaggi, ha comportato notevoli patologie e devastazioni nella vita degli individui e nella loro libertà.
Il mutamento occorso nella struttura familiare è intrinsecamente connesso allo sviluppo del capitalismo maturo ed alla svalutazione e alienazione in questa società dell'individuo che, non potendo trovare in essa spazio e sostegno, è spinto a trovare compensazioni simboliche e a delegare la propria protezione al "clan famiglia", protezione per cui paga altissime tangenti, quanto più è senza potere.
Così un ragazzo, che difficilmente trova un'adeguata collocazione nel sistema socio-economico alle prese con nuove e continue ristrutturazioni, è spinto a vivere una sempre più lunga adolescenza parcheggiando e subendo una distruttiva dipendenza sine die nel suo clan privato (privato, ma senza intimità).
E la famiglia sa fare buon uso sociale e privato dei suoi beni di rappresentanza, dalla casa, all'auto, al figlio-oggetto, e tutta la patologia comportamentale e psicosomatica relativa ai membri del clan familiare sempre più in primo piano nella letteratura psichiatrica e giuridica, ne fa fede.
Figli utilizzati nei giochi al massacro, nei giochi psicotici e di potere della "coppia" (se così si può chiamare) genitoriale, o al momento della rottura sancita di un'inesistente coppia, violenze psicologiche e sessuali non solo nei confronti dei minori e non solo di alcuni uomini verso le donne, ma anche (e su questo il femminismo non ha fatto ancora ben luce), di alcune donne - novelle Medee senza il fascino del mito - verso l'uomo, utilizzando i figli e la loro distruzione come ricatto. Ugualmente funeste risultano certe false e ostentate armonie di coppie che invece di affrontare una sana separazione "resistono per il bene dei figli" e la cui comunicazione è contrassegnata da "pseudoreciprocità". Inoltre a volte l'estrema dolcezza da parte di un genitore verso il figlio può essere fortemente "doppio-legante" e insidiosa minando l'autonomia del bambino.
Non meno infrequente è lo sfruttamento di un figlio o di una figlia quale sostituto di un partner sentimentale e/o sessuale ("deviazioni intergenerazionali") in caso di impotenza e di gravi problemi psicologici del o dei genitori. Dietro la formale facciata moralistica, il gruppo di una famiglia (coercitiva e doppio legante) visto in un interno svela tutta la sua patologia e pornografia.
In questo scenario sociale, l'ambiente dello sport, della scuola in genere potrebbe diventare un'area che in qualche modo riattivi il processo di crescita e individuazione spesso e volentieri arenatosi negli stalli familiari, sempreché non si ripetano all'interno di questi ambienti, i perversi moduli comunicativi della famiglia coercitiva e sempreché la coppia genitoriale non invada anche questa area franca con i propri giochi narcisistici di potere. Ciò accade ad esempio quando un genitore adopera le performance sportive o scolastiche del figlio-oggetto per esibirsi, espropriando il figlio del corpo e del desiderio del gioco, della motivazione allo sport e alla conoscenza.
Il figlio-oggetto (rappresentante simbolico della potenza e del prestigio genitoriale e nuovo trastullo concesso alla vuota identità e ai timori e tremori di mamma e papà) viene spesso e volentieri avviato precocemente allo sport, alla scuola, vestito con vestiti firmati e "più" (più di quelli di altri bambini "che dovranno morire d'invidia"), con feste di compleanno, di comunione e cresima "più", cinicamente addobbati per le feste della mamma e del papà in una inarrestabile ostensione totale e disconoscimento del figlio-persona che diviene sempre meno nell'essere "più".
Questa è la scuola di deleterio agonismo approntata dal narcisismo genitoriale a cui il figlio-oggetto spesso si ribella (e cede) con disturbi dello sviluppo, problemi psicosomatici e caratteriali, o a cui cede totalmente divenendo a sua volta marionetta e burattino.
Da ciò l'importanza di "educare gli educatori" e di favorire l'inserimento anche nella scuola, di quelle  pratiche autoregolative d'autosviluppo utilizzate nella routine dello sportivo.
Qualche anno fa, prendendo a modello l'esempio del sistema scolastico svedese che ha introdotto nel corso di educazione fisica il Training Mentale per fasce di età e la necessità di "educare al rilassamento" gli insegnanti, auspicai l'adozione di simili metodiche anche in Italia. Lo auspico ancora e avanzo nuovamente tale idea, perché sempre più la società fa richieste al mondo dello sport e della scuola. Lo fa direttamente e nel modo più sano, quando masse crescenti di persone giovani e meno giovani chiedono di uscire dalle privazioni sensoriali, dall'ipocinesi mentale e fisica in cui si trovano a vivere, volendo praticare e sperimentare in prima persona e insieme agli altri i vantaggi dello sport; lo fa indirettamente, ed in modo più insano e violento, quando il cittadino inerte, dall' identità precaria, irrompe con violenza nello scenario dello stadio reclamando, attraverso una sorta di funesto "teatro della crudeltà", immagine e presenza. E tutte queste sono anche richieste di uno sviluppo maggiore della democrazia, di gestione in prima persona delle cose, compreso il gioco dello sport. 
Compito duro e difficile, ambizioso e importante, spetta perciò all'educazione ed allo sport in questo momento storico. Si tratta di fare scelte che non sono solo culturali, ma anche politiche, e con esse il mondo politico dovrà confrontarsi.

Si veda anche il video  "Sport, violenza ed educazione" :

https://www.youtube.com/watch?v=xsXdCT37m5A


Note :
1) “..Gestalt instabili e fluttuanti nel campo sociale e istituzionale..”
Alludo al crearsi  e ricrearsi continuo di strutture e formazioni sociali, economiche, e politiche, sempre più fluttuanti, cangianti, effimere funzionali al procedere delle continue crisi e conseguenti ristrutturazioni del sistema capitalistico occidentale (nelle sue varie espressioni)
Ritorno anche in questo scritto, come in “Transformazioni del femminile”(il post precedente) su alcuni concetti e  temi molto presenti nel mio saggio su W. Reich (citato nella bibliografia), scritto che rappresentò in fondo anche un pretesto, negli anni settanta, per analizzare e cogliere l’evolversi e l’involversi della modernità e postmodernità.
Tutti questi motivi li ho ritrovati poi nel 2000 sostanziati dalla realtà dei fatti ed anche dalla ‘liquida’ analisi di Zygmunt Bauman. 

2) “Nuova forma mercuriale di coercizione…”
Mi riferisco qui ad una forma di controllo pervasivo, intrusivo, mercuriale, liquido..in cui ogni forma di privacy tende sempre più a scomparire. In questo caso do una connotazione negativa al termine ‘mercuriale’ generalmente utilizzato da me con connotazioni positive. Lo stesso accade quando parlo di “cattiva fluidità”. Nel 1968 in alcuni miei scritti di tipo letterario e soprattutto in quella distopia e favola semantica che fu “Virus e il Furto di Atlantis”(1968-'70) cominciai a parlare di “Strategie di Liquefazione” introducendo un concetto che poi si è espanso in modo rizomatico nella teoria e nella realtà.
Si veda l’altro mio Blog intitolato “Daniela Ripetti-Pacchini in the Metaxy”.

3)Cittadino dall’identità precaria..”
L’incertezza, il senso di precarietà identitaria, connesso al mondo socio-economico postmoderno, la fragilità e mutevolezza dei legami sociali e affettivi, anche questo è un tema ricorrente nel mio pensiero e la pratica clinica da me svolta ha confermato le osservazioni che andavo facendo sul piano sociologico. Questo stato di incertezza rende le persone più manipolabili ideologicamente e responsive al multiforme paese dei balocchi consumistico (Com’è ampiamente descritto nel mio saggio su Reich).


Riferimenti bibliografici

Vincenzo Cappelletti e Paolo Casini : Cultura, educazione e Sport – Istituto della Enciclopedia Italiana 1987.
Ilya Prigogine e Isabelle Stengers : La nuova Alleanza – Longanesi & C., 1979
Daniela Ripetti Pacchini : Attualità, prefigurazioni e limiti del primo Wilhelm Reich – Università degli Studi di Roma - Facoltà di Psicologia, 1983-1984.
Una trascrizione di questa relazione è pubblicata sulla rivista bimestrale  Semaforo Verde (Organo Ufficiale della Croce Bianca)Anno XXVII - N.2, Marzo-Aprile 1990.  

Si veda inoltre :

"Chi uccide la gioia negli stadi?" Il mondo dello Sport , atleti, tifosi e operatori (allenatori e manager società di calcio e basket, psicologi, giudici e politici) a confronto al Teatro Quattro Mori di Livorno. Presentatore : Gianni Minà . Psicologi : Daniela Ripetti-Pacchini e Guido Ghirelli.
Da "Il Tirreno", 10 Dicembre 1985.


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