domenica 1 febbraio 2015

CORPO, MOVIMENTO E AGONISMO NELLA SOCIETA' POSTMODERNA (Dalla conferenza "Educazione ed Agonismo" 1989) di Daniela Ripetti-Pacchini


   Lo sport come esperienza d'autosviluppo

Esistono diverse ragioni per cui l'ambiente dell'educazione e della cultura in genere possono stringere o rafforzare nuove o antiche alleanze con l'ambiente dello sport.
La fase storica attuale si presenta, per complesse ragioni socio-economiche la cui disamina è impossibile in questa relazione, contrassegnata da punti critici, "dissipativi" (direbbe il fisico I. Prigogine), che attraversano anche aree come l'educazione e la cultura, lo sport, l'istituzione famiglia, la società nel suo complesso, direttamente coinvolte nel nostro discorso.
La presenza di gestalt instabili, fluttuanti nel campo sociale e istituzionale, implica anche la possibilità di una loro trasformazione in senso evolutivo o involutivo, spetta perciò in buona parte a tutti noi saperle utilizzare per facilitare cambiamenti positivi dei processi in corso.
Nel settore dell'educazione e della cultura (filosofia, psicologia ed altre scienze o arti) è entrato sempre più in crisi il modello concettuale di scotomizzazione e rimozione dell'esperienza e dell'espressione corporea, connesso ad una pratica tutta intellettuale della paideia, come pure ha cominciato a problematizzarsi il modello che prende in considerazione il corpo, ma in funzione di un suo dominio più o meno esplicitamente coercitivo. L'educazione coercitiva aveva infatti scoperto il corpo, ma per piegarlo, sorvegliarlo, ortopedia sociale funzionale a determinati contesti socio-economici antivitali e mortiferi.
L'attuale rivalutazione del corpo (nelle scienze psicologiche, nella psichiatria, nella filosofia, nella cultura e sub-cultura dei mass-media) è perciò un fenomeno bifronte: da una parte se ne può infatti dedurre una effettiva liberazione della corporeità, lo slacciamento dei rigidi e deformanti corsetti, dall'altro invece tale rivalutazione si può inscrivere nella linea di un più avanzato e sottile controllo poliziesco del corpo sotto le mentite e nude spoglie di immagini e pratiche corporee ridondanti e pervasive in ogni luogo. (Nuova forma mercuriale di coercizione che sottrae i corpi alla libera esperienza intima, personale, duale). Siamo letteralmente inondati di immagini corporee, di eccessi e decessi di corporeità, ma il corpo dov'è?
Parlare del corpo è significativo, perché è in base alla cultura che si ha di esso, che varia anche il significato attribuito allo sport e all'educazione sia generale che motoria.
Se infatti il corpo viene svalutato e la sua materialità è messa in ombra, ecco che lo sport e l'attività fisico-motoria che lo concernono, vengono giocoforza svalutate e considerate una parte accessoria dell'educazione globale.
Se invece il corpo è riconosciuto nella sua materialità e l'intelligenza è vista come parte di questa materialità oltreché dei processi storico-sociali, comunicazionali (che determinano in buona parte l'organizzazione e la specificità dell'unità organismica), allora anche le attività motorie acquistano nuova luce e importanza.
Si possono quindi sviluppare due direzioni e due impostazioni nella concezione dello sport. La prima è una concezione moralistico-coercitiva in forme più o meno esplicite e mascherate. Tale concezione la si ritrova non solo nella vecchia pedagogia autoritaria che mirava a creare menti e corpi assoggettati ad autorità ben identificate (come ad esempio nel fascismo), ma anche in una più moderna concezione di sport estremamente laicizzata e tecnologizzata, che prevede il controllo e il dominio della corporeità per raggiungere obbiettivi quali l'assoggettamento e il disciplinamento tout court della persona, la repressione di tendenze vitali e razionali come l'aggressività o gli impulsi sessuali "naturali", la riconferma attraverso l'immagine pubblicizzata del campione sportivo di valori dominanti come la concorrenza spietata, la tendenza a sopraffare, lo sfruttamento commerciale e la mercificazione della persona e dei rapporti (ben lo ricordava anche Paolo Casini in Cultura, educazione e sport, 1987). Ancora una volta si tratta della messa in scena di un corpo senza corpo.
L'uscita dall'Olimpo degli antichi, lo sganciamento del ludus, del gioco dalla cornice mitologica e religiosa che divinizzava anche i giocatori nella loro ricerca di autorealizzazione e perfezione psicofisica, non ha rappresentato un'evoluzione ulteriore nella concezione del gioco, dell'arte di giocare - quanto piuttosto un suo scadimento - se lo sport vive alienato nella dimensione moralistico-coercitiva.
Ma lo sport, in relazione ad una diversa idea e rapporto col corpo, può essere inteso in modo diverso, e precisamente come ludus, come festa, come strategia per sciogliere (e non creare) corazze muscolari, riattivare la mobilità in strutture tese e irrigidite, può essere inteso come competizione ludica ed esperienza d'autosviluppo.
Con questo modo d' intendere lo sport non mi riferisco solo al fenomeno importantissimo e sempre più diffuso tra la gente della pratica sportiva in prima persona ed in modo totalmente ludico ed amatoriale, ma anche ad un possibile ed auspicabile modo di vivere lo sport d'élite. Le maggiori difficoltà ed ambiguità d'intendimenti emergono infatti soprattutto in questo settore ed è in rapporto ad esso che si rende più necessaria l'educazione allo sport ed il ruolo di una non superficiale cultura sportiva filtrata dalla scuola e dai mass-media affinché lo sport sviluppi realmente tutte le sue potenzialità educative. A questo punto va definito però un altro concetto, quello di agonismo, di competizione, da cui dipende grandemente il modo di praticare, organizzare, formare allo sport, ma anche l'attività pedagogica in generale.
Come il gioco l'agonismo è una motivazione primaria che spinge alla pratica sportiva ed è una motivazione che comincia ad emergere nella seconda infanzia (6 - 11 anni) come bisogno di confrontarsi e misurarsi con gli altri e non solo nelle attività motorie.
L'agonismo è basato in parte sulle tendenze aggressive dell'essere umano, disposizioni che contrariamente a concezioni idealistiche e mistificanti, non considero né antivitali, né negative.
Non esistono infatti in natura istinti e azioni aggressive e sessuali antivitali, esse lo diventano solo con il libero arbitrio e la ragione umana in contesti socio-economici che pervertono le funzioni vitali ed in cui l'alleanza con la natura è persa.
Occultare questo, significa occultare il ruolo giocato dalle strutture socio-economiche nel favorire l'alienazione e la brutalità umana e il non volersi assumere la responsabilità di cambiarle.
La competizione diviene nevrotica e brutale solo quando si carica dell'aggressività distruttiva, sadica (generata da frustrazioni e rimozioni di bisogni ed esigenze sane come ad esempio la sana aggressività nel rivendicare i propri diritti, il bisogno d'amore, ecc.), solo quando in essa vengono incanalate richieste che dovrebbero agire altrove.
Si dice che nello sport di per sé c'è violenza perché c'è agonismo, competizione, ma non si dice una cosa corretta, perché è necessario competere e definire lo stesso termine di competizione nel modo adeguato.
Cùm pètere significa infatti "dirigersi verso" un certo obbiettivo, ed anche "cercare insieme" ad altre persone che mirano al loro autosviluppo, la ricchezza e il limite delle proprie potenzialità attraverso il confronto reciproco e la sfida, senza distorcere l'immagine dell'avversario o essere spezzati da essa. (Questo è anche il significato originario dell' "agone", della gara fondata su un deciso impegno e spirito di emulazione).
Il vero grande atleta è in questo senso un esploratore, uno scopritore di nuovi mondi interiori che riesce a comunicare anche agli altri, divenendo a sua volta un facilitatore delle altrui potenzialità.
La competizione creativa, in cui è possibile accedere a "peak experiences" (esperienze di punta, raggiungimento di uno stato alto e altro della mente), si differenzia così dalla competizione nevrotica (riduttiva e distorcente) e definisce la pratica sportiva come pratica conoscitiva attraverso la strada maestra del corpo. E' in effetti proprio nel conflitto, nella sfida, che l'uomo mette in gioco tutto se stesso, rivela la propria unicità, può bilanciare le unilateralità e superarsi giocando nuovi giochi.
Nella competizione creativa tendono progressivamente a ricomporsi gli aspetti apollinei di regolazione razionale del comportamento (non di autocontrollo e corazzamento ossessivo), con gli aspetti dionisiaci di gioco, di festa, di liberazioni di motivazioni profonde.
Solo considerando in questo modo la competizione l'atleta diviene automotivato e, al di là di gratificazioni esterne, di premi, riconoscimenti e beni (ossessivamente essenziali all'atleta nevrotico per compensare il suo senso interno di vuoto e di non valore), può vivere una lunga e comunque significativa carriera sportiva.
E' per promuovere questa idea di agonismo che l'Unità Operativa di Psicologia dello Sport di Tirrenia opera utilizzando strategie autoregolative d'autosviluppo (da intendersi come approcci favorenti la flessibilità in chi le usa e non tecniche repressive d'autocontrollo per programmare ottusi oggetti meccanici) nel settore sportivo più d'élite, per far sì che il mondo dello sport in tutti i suoi aspetti, sia veramente una scuola, un'area di facilitazione dell'individuazione della persona.
E questo è tanto più significativo quanto più diviene evidente il potenziale di rischio rappresentato dall' istituzione famiglia, anche nella sua versione più moderna. Non mi riferisco qui a quegli insiemi "naturali" di persone unite da rapporti d'amore e di passione, quanto a quell'organizzazione coercitiva altamente formalizzata e azienda (piuttosto diffusa per la verità) che lo psichiatra W. Reich definiva come "famiglia coattiva".
Nella famiglia e nel neofamilismo contemporaneo si è assistito infatti ad uno spostamento dei figli "da una posizione relativamente periferica, ad una posizione di assoluta centralità", ma questo fatto invece di recare grandi vantaggi, ha comportato notevoli patologie e devastazioni nella vita degli individui e nella loro libertà.
Il mutamento occorso nella struttura familiare è intrinsecamente connesso allo sviluppo del capitalismo maturo ed alla svalutazione e alienazione in questa società dell'individuo che, non potendo trovare in essa spazio e sostegno, è spinto a trovare compensazioni simboliche e a delegare la propria protezione al "clan famiglia", protezione per cui paga altissime tangenti, quanto più è senza potere.
Così un ragazzo, che difficilmente trova un'adeguata collocazione nel sistema socio-economico alle prese con nuove e continue ristrutturazioni, è spinto a vivere una sempre più lunga adolescenza parcheggiando e subendo una distruttiva dipendenza sine die nel suo clan privato (privato, ma senza intimità).
E la famiglia sa fare buon uso sociale e privato dei suoi beni di rappresentanza, dalla casa, all'auto, al figlio-oggetto, e tutta la patologia comportamentale e psicosomatica relativa ai membri del clan familiare sempre più in primo piano nella letteratura psichiatrica e giuridica, ne fa fede.
Figli utilizzati nei giochi al massacro, nei giochi psicotici e di potere della "coppia" (se così si può chiamare) genitoriale, o al momento della rottura sancita di un'inesistente coppia, violenze psicologiche e sessuali non solo nei confronti dei minori e non solo di alcuni uomini verso le donne, ma anche (e su questo il femminismo non ha fatto ancora ben luce), di alcune donne - novelle Medee senza il fascino del mito - verso l'uomo, utilizzando i figli e la loro distruzione come ricatto. Ugualmente funeste risultano certe false e ostentate armonie di coppie che invece di affrontare una sana separazione "resistono per il bene dei figli" e la cui comunicazione è contrassegnata da "pseudoreciprocità". Inoltre a volte l'estrema dolcezza da parte di un genitore verso il figlio può essere fortemente "doppio-legante" e insidiosa minando l'autonomia del bambino.
Non meno infrequente è lo sfruttamento di un figlio o di una figlia quale sostituto di un partner sentimentale e/o sessuale ("deviazioni intergenerazionali") in caso di impotenza e di gravi problemi psicologici del o dei genitori. Dietro la formale facciata moralistica, il gruppo di una famiglia (coercitiva e doppio legante) visto in un interno svela tutta la sua patologia e pornografia.
In questo scenario sociale, l'ambiente dello sport, della scuola in genere potrebbe diventare un'area che in qualche modo riattivi il processo di crescita e individuazione spesso e volentieri arenatosi negli stalli familiari, sempreché non si ripetano all'interno di questi ambienti, i perversi moduli comunicativi della famiglia coercitiva e sempreché la coppia genitoriale non invada anche questa area franca con i propri giochi narcisistici di potere. Ciò accade ad esempio quando un genitore adopera le performance sportive o scolastiche del figlio-oggetto per esibirsi, espropriando il figlio del corpo e del desiderio del gioco, della motivazione allo sport e alla conoscenza.
Il figlio-oggetto (rappresentante simbolico della potenza e del prestigio genitoriale e nuovo trastullo concesso alla vuota identità e ai timori e tremori di mamma e papà) viene spesso e volentieri avviato precocemente allo sport, alla scuola, vestito con vestiti firmati e "più" (più di quelli di altri bambini "che dovranno morire d'invidia"), con feste di compleanno, di comunione e cresima "più", cinicamente addobbati per le feste della mamma e del papà in una inarrestabile ostensione totale e disconoscimento del figlio-persona che diviene sempre meno nell'essere "più".
Questa è la scuola di deleterio agonismo approntata dal narcisismo genitoriale a cui il figlio-oggetto spesso si ribella (e cede) con disturbi dello sviluppo, problemi psicosomatici e caratteriali, o a cui cede totalmente divenendo a sua volta marionetta e burattino.
Da ciò l'importanza di "educare gli educatori" e di favorire l'inserimento anche nella scuola, di quelle  pratiche autoregolative d'autosviluppo utilizzate nella routine dello sportivo.
Qualche anno fa, prendendo a modello l'esempio del sistema scolastico svedese che ha introdotto nel corso di educazione fisica il Training Mentale per fasce di età e la necessità di "educare al rilassamento" gli insegnanti, auspicai l'adozione di simili metodiche anche in Italia. Lo auspico ancora e avanzo nuovamente tale idea, perché sempre più la società fa richieste al mondo dello sport e della scuola. Lo fa direttamente e nel modo più sano, quando masse crescenti di persone giovani e meno giovani chiedono di uscire dalle privazioni sensoriali, dall'ipocinesi mentale e fisica in cui si trovano a vivere, volendo praticare e sperimentare in prima persona e insieme agli altri i vantaggi dello sport; lo fa indirettamente, ed in modo più insano e violento, quando il cittadino inerte, dall' identità precaria, irrompe con violenza nello scenario dello stadio reclamando, attraverso una sorta di funesto "teatro della crudeltà", immagine e presenza. E tutte queste sono anche richieste di uno sviluppo maggiore della democrazia, di gestione in prima persona delle cose, compreso il gioco dello sport. 
Compito duro e difficile, ambizioso e importante, spetta perciò all'educazione ed allo sport in questo momento storico. Si tratta di fare scelte che non sono solo culturali, ma anche politiche, e con esse il mondo politico dovrà confrontarsi.

Si veda anche il video  "Sport, violenza ed educazione" :

https://www.youtube.com/watch?v=xsXdCT37m5A


Note :
1) “..Gestalt instabili e fluttuanti nel campo sociale e istituzionale..”
Alludo al crearsi  e ricrearsi continuo di strutture e formazioni sociali, economiche, e politiche, sempre più fluttuanti, cangianti, effimere funzionali al procedere delle continue crisi e conseguenti ristrutturazioni del sistema capitalistico occidentale (nelle sue varie espressioni)
Ritorno anche in questo scritto, come in “Transformazioni del femminile”(il post precedente) su alcuni concetti e  temi molto presenti nel mio saggio su W. Reich (citato nella bibliografia), scritto che rappresentò in fondo anche un pretesto, negli anni settanta, per analizzare e cogliere l’evolversi e l’involversi della modernità e postmodernità.
Tutti questi motivi li ho ritrovati poi nel 2000 sostanziati dalla realtà dei fatti ed anche dalla ‘liquida’ analisi di Zygmunt Bauman. 

2) “Nuova forma mercuriale di coercizione…”
Mi riferisco qui ad una forma di controllo pervasivo, intrusivo, mercuriale, liquido..in cui ogni forma di privacy tende sempre più a scomparire. In questo caso do una connotazione negativa al termine ‘mercuriale’ generalmente utilizzato da me con connotazioni positive. Lo stesso accade quando parlo di “cattiva fluidità”. Nel 1968 in alcuni miei scritti di tipo letterario e soprattutto in quella distopia e favola semantica che fu “Virus e il Furto di Atlantis”(1968-'70) cominciai a parlare di “Strategie di Liquefazione” introducendo un concetto che poi si è espanso in modo rizomatico nella teoria e nella realtà.
Si veda l’altro mio Blog intitolato “Daniela Ripetti-Pacchini in the Metaxy”.

3)Cittadino dall’identità precaria..”
L’incertezza, il senso di precarietà identitaria, connesso al mondo socio-economico postmoderno, la fragilità e mutevolezza dei legami sociali e affettivi, anche questo è un tema ricorrente nel mio pensiero e la pratica clinica da me svolta ha confermato le osservazioni che andavo facendo sul piano sociologico. Questo stato di incertezza rende le persone più manipolabili ideologicamente e responsive al multiforme paese dei balocchi consumistico (Com’è ampiamente descritto nel mio saggio su Reich).


Riferimenti bibliografici

Vincenzo Cappelletti e Paolo Casini : Cultura, educazione e Sport – Istituto della Enciclopedia Italiana 1987.
Ilya Prigogine e Isabelle Stengers : La nuova Alleanza – Longanesi & C., 1979
Daniela Ripetti Pacchini : Attualità, prefigurazioni e limiti del primo Wilhelm Reich – Università degli Studi di Roma - Facoltà di Psicologia, 1983-1984.
Una trascrizione di questa relazione è pubblicata sulla rivista bimestrale  Semaforo Verde (Organo Ufficiale della Croce Bianca)Anno XXVII - N.2, Marzo-Aprile 1990.  

Si veda inoltre :

"Chi uccide la gioia negli stadi?" Il mondo dello Sport , atleti, tifosi e operatori (allenatori e manager società di calcio e basket, psicologi, giudici e politici) a confronto al Teatro Quattro Mori di Livorno. Presentatore : Gianni Minà . Psicologi : Daniela Ripetti-Pacchini e Guido Ghirelli.
Da "Il Tirreno", 10 Dicembre 1985.


Dinamiche relazionali ed esperienza sportiva nelle trans-formazioni del femminile. Di Daniela Ripetti-Pacchini

                           
            Dal Congresso “Donna, Salute e Sport” 1990


Il termine trans-formazioni è un pò la chiave del mio intervento e del mio pensiero.
Si può intendere infatti lo sviluppo come un processo continuo, non uniforme. Ogni fase di transizione, di passaggio, è una fase critica (‘dissipativa’) in cui sono possibili varie soluzioni e scelte creative di sviluppo delle potenzialità specifiche di ogni fase, oppure esiti bloccanti, riducenti la flessibilità o a volte portando addirittura a morte fisica o psichica la ‘persona’ (intesa come identità integrata in tutti i suoi aspetti, consci e inconsci, femminili e maschili, che potremo anche identificare con il Sé).
Secondo Money (J.Money, 1975) i grandi periodi critici dello sviluppo femminile sono quattro:
1.     il periodo della vita fetale
2.     il periodo della pubertà
3.     il periodo della gravidanza e del puerperio
4.     il periodo della menopausa.

Sono critici, poi, tutti quei periodi “in cui si verificano malattie implicanti una ferita grave sul Sé somatico in quelle parti che simbolicamente rappresentano la femminilità” (J. Baldaro Verde,1987).
Il contesto relazionale e socio-economico in cui tali periodi sono vissuti ‘surdetermina’ la direzione dello sviluppo. L'individuarsi della persona procede inoltre attraverso formazioni o passaggi di transe (da cui il termine trans-formazioni) e la ‘persona’ può essere presente in una fase e venire dissolta in un’altra.
La trance (o transe) com’è stata da me definita (D.R. Pacchini,1989), è una condizione di particolare plasticità neuropsicofisiologica in cui è possibile accedere a tutte le potenzialità consce e inconsce per svilupparle ed enfatizzarle o viceversa per coartarle, atrofizzarle.
La transe è la via per un cambiamento radicale in senso creativo o distruttivo.
Nei contesti sociali transe più o meno profonde insorgono facilmente in rapporto a specifiche gestalt e contesti emotivo-comunicazionali (ad es. in rapporti di dipendenza, con l’inibizione sessuale, doppi legami, focalizzazione dell’attenzione, comunicazioni confondenti e tattiche persuasive varie) e sono legate al grado di coinvolgimento in certi ruoli (role playng) indotti dal contesto socio-comunicazionale e dalla microfisica di potere ivi presente. Esse sono particolarmente suscettibili ad essere indotte nei periodi critici suddetti e nelle ‘rest-phases’ del ciclo ultradiano.
Come scrive anche la Ritterman (M. Ritterman, 1985) "i contesti sociali e la famiglia possono ipnotizzare le persone" ed espongono gli individui continuamente al rischio di vivere la propria esperienza con coscienza assoggettata o coscienza libera.
Tralasciando ogni disanima del contesto storico-sociale più generale (perché ci porterebbe troppo lontano), una delle strutture a rischio per lo sviluppo psicofisico è l’istituzione famiglia, anche nella versione più moderna. Non mi riferisco qui a quegli insiemi ‘naturali’ di persone unite da rapporti d’affetto e d’amore sessuale, quanto a quell’organizzazione coercitiva altamente formalizzata e azienda (piuttosto diffusa) definita da W. Reich "famiglia coattiva" e la cui funzione sociopolitica di riproduzione e stabilizzazione dell’ordine e dei valori vigenti era divenuta sempre più predominante nel secolo scorso. Il ruolo del ‘temenos’ familiare è tuttavia andato progressivamente scadendo perché non più così funzionale alla società industriale avanzata se non come area di un eterno provvisorio parcheggio per i figli precarizzati dalle continue ristrutturazioni capitalistiche. Tale funzione si associa a quella ancora più mercuriale e subliminale dell’ ‘autorità anonima’ dei mass-media di cui l’istituzione famiglia è divenuta cassa di risonanza. (D.Ripetti-Pacchini,1989-'90)
Quanto più alta è la costrizione formale, tanto più patogenetica è la famiglia, quanto più non dipende dalla libera accettazione e disponibilità dei membri, ma da coercizioni e ricatti relazionali e non è basata su una sana sessuoeconomia (ma sul moralismo-pornografico tipico delle istituzioni coattive) tanto più involutive e mortifere sono le induzioni di trance familiari.
Nella famiglia e nel neofamilismo contemporaneo si è assistito inoltre ad uno spostamento dei figli “da una posizione relativamente periferica, ad una posizione di assoluta centralità” (M. Selvini Palazzoli,1988), ma questo fatto invece di recare grandi vantaggi ha comportato notevoli patologie e devastazioni nella vita degli individui e nella loro libertà.
Il mutamento occorso nella struttura familiare è intrinsecamente connesso allo sviluppo del capitalismo maturo ed alla svalutazione e alienazione in questa società dell’individuo che, non potendo trovare in essa effettivo spazio e sostegno, è spinto a cercare compensazioni simboliche e a delegare la propria protezione al  ‘clan famiglia’, protezioni per cui paga spesso e volentieri altissime tangenti quanto più è senza potere.
Il figlio-oggetto rappresentante simbolico della potenza e del prestigio genitoriale (‘ectoplasma genitoriale’), è il nuovo trastullo concesso ai timori-e-tremori di cittadini dall’identità precaria, nuovo bene di rappresentanza accanto alla casa, all’auto, ai beni mobili e immobili.
In questo scenario la crescita diviene particolarmente insidiosa.
Siamo passati da una fase in cui era la nascita del figlio maschio ad essere ambita, ad una fase in cui richiesta è proprio la figlia femmina e come fa notare Laura Corti (1987) “La parità non c'entra ... ma piuttosto il fatto che tra i figli le femmine sono strumenti più docili, più affidabili: in una società in cui i vecchi sono emarginati e soli, dalla figlia ci si aspetta che più del figlio ... assista l'invalidità, colmi la solitudine ... Essa rappresenta un rifugio per chi la genera e dunque è per altri, non per sé. E vivere senza essere il fine della propria vita, non è un vero vivere”.
Dal momento che la percezione e l’immagine di sé è intrinsecamente legata alla trama di relazioni intessute con e dalle persone circostanti, focalizzerò l’attenzione su alcune dinamiche relazionali nodali nell’esperienza d' individuazione della persona e nella sua patogenesi.
Schema interpersonale tipico delle famiglie coattive è la “triangolazione e l’utilizzo più o meno consapevole ed in varia forma dei figli” (R. Perotti 1985). Accanto al complesso di Edipo ed Elettra, o meglio di Mirra (la figlia del re del Libano innamorata del padre), presente nella famiglia borghese occidentale, esiste nei bambini una tendenza a crescere verso l’autonomia e l’accoppiamento eterofamiliare.
Il ‘rimosso’ (spesso anche nella letteratura psichiatrica) di queste vicende, è però il blocco della crescita attuato da genitori di figli disfunzionali e l’attaccamento patogeno dei genitori verso i figli. E quanto più forte è il desiderio (mascherato da doppi messaggi senza fine) e la seduzione genitoriale, tanto più alta è la patologia e l’impossibilità successiva dei figli a stabilire reali rapporti extrafamiliari e ad esistere.
Come Crono, la cui prerogativa distintiva era divorare la prole, un certo numero di genitori  (o di loro rappresentanti), divorano, fanno propria la vita dei figli, vuoi per impotenza o altri problemi sessuali (ginecofobia, ambivalenza verso gli uomini o le donne), vuoi per ricattare e dissuadere un coniuge dalla separazione. 
Nelle trans-formazioni del femminile, la bambina può essere bloccata ad es. dalle transe mortifere o dallo ‘straziante dolore’ ricattatorio di una madre Demetra (non a caso figlia di Crono) che insegue Persefone per tutta la terra per riappropriarsene o può incorrere nell’eventualità di un padre seduttore (puer aeternus) che invece di avere un rapporto d’amore privilegiato con la moglie o un’altra compagna, diviene partner della figlia mettendola al primo posto (D.R. Pacchini,1984-1989; M. Woodman,1985; J.B.Verde,1987).
Alcune ricerche effettuate (J.Baldaro Verde 1987) hanno permesso di verificare come il comportamento del padre seduttivo (esistono anche madri seduttive) causi danni maggiori di un incesto avvenuto.
Oppure c’è il caso del padre o della madre-tiranno; questi considera figlia e coniuge quali oggetti parziali al suo servizio impedendo l’investimento d’amore su di sé. Assieme al coniuge frustrato trasmette alla figlia un modello negativo di rapporto uomo-donna.
Il distacco dalla famiglia (evento da consumarsi nella fase di transizione adolescenziale), così come l’emancipazione e le trasformazioni positive del femminile divengono estremamente problematiche in presenza di dinamiche familiari di questo tipo. Tali dinamiche rappresentano inoltre alcuni dei principali freni alla pratica sportiva ed in particolare ad una pratica intesa come esperienza d’autosviluppo.
D’altro lato il contesto sociale più ampio non offre grandi opportunità di crescita. L’adolescente dall’identità incerta è infatti un appetibile oggetto di manipolazione a fini di mercato. La ‘condizione adolescenziale’, favorita dal contesto socio-economico capitalista (fase sempre più lunga in questa società), implica una continua ricerca (insoddisfatta) di conferme e modelli d’immagine; chi attraversa questa fase è quindi potenzialmente molto responsivo alle suggestioni dei mass-media ed al fenomeno della ‘riprova sociale’ ad essi connesso.
La saturante eterogeneità d’immagini – chiacchiere – travestismi offerta dai mass-media, rende difficile alle incertezze dell’adolescente sentirsi, scegliere, sperimentarsi, ed in genere ciò favorisce la scelta rassicurante d’immagini e modelli stereotipi proposti e riproposti come ancore comportamentali o anche modelli apparentemente ‘trasgressivi’ ma di fatto  preconfezionati e conformi alle sempre cangianti necessità del mercato e del consumo.
Manca infatti lo spazio privato realmente intimo, il silenzio, il contatto intra e interpersonale forte per l’esperienza in sé.
L’ambiente sportivo, se pure anch’esso attraversato dalle stesse contraddizioni e malori del contesto generale, può offrire tuttavia una grande possibilità. Come scrive anche A. Salvini (1982): “Lo sport offre uno spazio d’esperienza che in qualche maniera consente il superamento del recinto familiare e la costrizione conformista del gruppo dei coetanei”. La pratica sportiva femminile benché non sia esente da pregiudizi ed ancora modestamente diffusa tra le donne (M. Guicciardi, A. Salvini, 1988), spezza l'immagine tradizionale della donna riconoscendole quei fondamentali bisogni d'espressione psicofisica, di cui è stata storicamente e socialmente deprivata.
Il corpo, per la donna sportiva, può diventare una via maestra per la conoscenza di sé, così come la sfida, la tensione della prova competitiva, spingendola a mettere in gioco tutta sé stessa, può essere un mezzo per rivelarle e addestrare capacità sconosciute e per promuovere una risintesi interiore.
Secoli di aspettative limitanti la percezione e lo sviluppo delle proprie potenzialità psicofisiche, avevano realmente segnato in senso restrittivo il destino, il comportamento e la neurofisiologia femminile come molte ricerche hanno messo in evidenza (M. Guicciardi, A. Salvini, 1988) e come emerge dalla stessa ricerca nel campo dell’ipnosi e dell’ideomotricità dove si vede quanto le aspettative e l’immaginario (sopratutto se sollecitati in relazioni significative), plasmino in modo forte le risposte comportamentali. La donna-atleta è stata per lungo tempo pensata come una particolarità eccentrica statisticamente non significativa (l’eccezione che conferma la regola), spesso e volentieri come un fenomeno da baraccone o comunque come un incomprensibile oggetto-tabù, e questo ha pesato e pesa in senso negativo sulle sue motivazioni allo sport.
La crescente diffusione delle pratiche e dei risultati sportivi nei settori femminili giovanili e d’élite, ha mostrato concretamente quanto tali pratiche siano state e possano essere per la donna non l’effetto speciale di una qualche fatale anomalia, ma esperienze alternative per spezzare immagini e simulacri limitati e limitanti dentro e fuori di sé. La stessa alta prestazione presentandosi come un processo alterato o alternativo di coscienza, offre l’opportunità di essere un’intensa esperienza mentale controinduttiva e liberatoria, una transe separata che tracci e ridisegni i confini personali, rispetto agli invischiamenti e agli assoggettamenti di altre trance sperimentate in contesti familiari e sociali.
L’ambiente sportivo (nella misura in cui non riproduce dinamiche coattive), può diventare, con la facilitazione dei suoi trainer fisici e mentali, una cornice di protezione (un ‘temenos’) dove riattivare il processo di crescita ed individuazione arenatosi in reti relazionali involutive.
Certo ci saranno sempre delle coppie genitoriali a tentare di invadere anche quest’area con i propri giochi narcisistici e di controllo (come accade ad es. quando un genitore adopera le performance, sportive della figlia-oggetto per esibirsi, espropriandola del corpo e del desiderio del gioco, della motivazione allo sport e alla conoscenza) e non mancheranno, non mancano, i tentativi dei mass-media di riciclare la donna-atleta in via di emancipazione per il loro scopo di pura immagine.
Il compito dei facilitatori perciò non è semplice, essendo loro stessi suscettibili di cadere in reti relazionali invalidanti.
Studi condotti sullo sport femminile (A. Salvini 1982), indicano come in genere siano i genitori (in particolare il padre) a favorire la scelta sportiva della figlia. La loro concezione (dichiarata) dello sport è però di tipo salutistico, in senso stretto, piuttosto che legata a finalità di socializzazione e di emancipazione (quindi di distacco dalla famiglia e dai cliché sul femminile).
Orientato in modo adeguato il ‘temenos’ sportivo potrebbe rappresentare effettivamente un contesto rituale per sostenere i passaggi, le fasi critiche dello sviluppo, dovute sia ai cambiamenti fisiologici e neuro-ormonali intervenenti, sia all’evoluzione storica dell’immagine femminile. D’altronde la trasformazione in senso liberatorio del femminile ha un effetto propulsivo anche sulle potenzialità maschili, ugualmente costrette nei corsetti di rigidi e innaturali ruoli. Tutta la ricchezza di ‘persona’  che spetta alla donna, spetta anche all'uomo (non a caso adesso cominciamo a scoprire ad es. il valore della paternità e i comportamenti di tenerezza maschili). Anche l'uomo può così cominciare a sganciarsi dalle violenze psicologiche, sessuali e dagli sfruttamenti di cui è stato, ed è, ugualmente vittima.

Riferimenti bibliografici

Baldaro-Verde J., Donna Maschere e Ombre, Cortina, Milano '88.
Corti L.,"Prefazione",in  Puoi volare farfalla di Woodman M. (trad.it.), Red Ed., Como 1987; (tit.orig.) The Pregnant Virgin, Inner City Books,Toronto 1985.
Guicciardi M., Salvini A., (a cura di), La psicologia dell’ atleta, Giuffré, Milano 1988.
Guicciardi M., Salvini A., (a cura di), La psicologia dell’ atleta, Giuffré, Milano 1988. Cfr. all'interno del testo La donna atleta di M. Guicciardi e A. Salvini  e Nuovi orientamenti nell'applicazione di tecniche autoregolative allo sport di D. Ripetti Pacchini . ISBN 8814015368, 9788814015366
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