Lo
sport come esperienza d'autosviluppo
Esistono diverse ragioni per
cui l'ambiente dell'educazione e della cultura in genere possono stringere o
rafforzare nuove o antiche alleanze con l'ambiente dello sport.
La fase storica attuale si
presenta, per complesse ragioni socio-economiche la cui disamina è impossibile
in questa relazione, contrassegnata da punti critici,
"dissipativi" (direbbe il fisico I.
Prigogine), che attraversano anche aree come l'educazione
e la cultura, lo sport, l'istituzione famiglia, la società
nel suo complesso, direttamente coinvolte nel nostro discorso.
La presenza di gestalt instabili, fluttuanti
nel campo sociale e istituzionale, implica anche la possibilità di una
loro trasformazione in senso evolutivo o involutivo, spetta perciò in buona
parte a tutti noi saperle utilizzare per facilitare cambiamenti positivi dei
processi in corso.
Nel settore dell'educazione
e della cultura (filosofia, psicologia ed altre scienze o arti) è
entrato sempre più in crisi il modello concettuale di scotomizzazione e
rimozione dell'esperienza e dell'espressione corporea, connesso ad una pratica
tutta intellettuale della paideia, come pure ha cominciato a problematizzarsi il
modello che prende in considerazione il corpo, ma in funzione di un suo dominio più o meno
esplicitamente coercitivo. L'educazione coercitiva aveva infatti scoperto il
corpo, ma per piegarlo, sorvegliarlo, ortopedia sociale funzionale a
determinati contesti socio-economici antivitali e mortiferi.
L'attuale rivalutazione del
corpo (nelle scienze psicologiche, nella psichiatria, nella filosofia, nella
cultura e sub-cultura dei mass-media) è perciò un fenomeno bifronte: da una
parte se ne può infatti dedurre una effettiva liberazione
della corporeità, lo slacciamento dei rigidi e deformanti corsetti,
dall'altro invece tale rivalutazione si può inscrivere nella linea di un più
avanzato e sottile controllo poliziesco del corpo sotto le mentite e nude
spoglie di immagini e pratiche corporee ridondanti e pervasive in ogni luogo. (Nuova forma mercuriale di coercizione che sottrae i
corpi alla libera esperienza intima, personale, duale). Siamo letteralmente
inondati di immagini corporee, di eccessi e decessi di corporeità, ma il corpo
dov'è?
Parlare del corpo è
significativo, perché è in base alla cultura che si ha di esso, che varia anche
il significato attribuito allo sport e all'educazione sia generale che motoria.
Se infatti il corpo viene svalutato
e la sua materialità è messa in ombra, ecco che lo sport e l'attività
fisico-motoria che lo concernono, vengono giocoforza svalutate e considerate
una parte accessoria dell'educazione globale.
Se invece il corpo è
riconosciuto nella sua materialità e l'intelligenza è vista come parte di
questa materialità oltreché dei processi storico-sociali, comunicazionali (che
determinano in buona parte l'organizzazione e la specificità dell'unità
organismica), allora anche le attività motorie acquistano nuova luce e
importanza.
Si possono quindi sviluppare
due direzioni e due impostazioni nella concezione dello sport. La prima è una
concezione moralistico-coercitiva in forme più o meno esplicite e
mascherate. Tale concezione la si ritrova non solo nella vecchia pedagogia
autoritaria che mirava a creare menti e corpi assoggettati ad autorità ben
identificate (come ad esempio nel fascismo), ma anche in una più moderna
concezione di sport estremamente laicizzata e tecnologizzata, che prevede il
controllo e il dominio della corporeità per raggiungere obbiettivi quali
l'assoggettamento e il disciplinamento tout court della persona, la repressione
di tendenze vitali e razionali come l'aggressività o gli impulsi sessuali
"naturali", la riconferma attraverso l'immagine pubblicizzata del
campione sportivo di valori dominanti come la concorrenza spietata, la tendenza
a sopraffare, lo sfruttamento commerciale e la mercificazione della persona e dei rapporti (ben lo ricordava anche Paolo Casini in Cultura, educazione e
sport, 1987). Ancora una volta si tratta della messa in scena di un corpo
senza corpo.
L'uscita dall'Olimpo degli
antichi, lo sganciamento del ludus, del gioco dalla cornice mitologica e
religiosa che divinizzava anche i giocatori nella loro ricerca di autorealizzazione
e perfezione psicofisica, non ha rappresentato un'evoluzione ulteriore nella
concezione del gioco, dell'arte di giocare - quanto piuttosto un suo scadimento
- se lo sport vive alienato nella dimensione moralistico-coercitiva.
Ma lo sport, in relazione ad
una diversa idea e rapporto col corpo, può essere inteso in modo diverso, e
precisamente come ludus, come festa, come strategia per
sciogliere (e non creare) corazze muscolari, riattivare la mobilità in
strutture tese e irrigidite, può essere inteso come competizione ludica
ed esperienza d'autosviluppo.
Con questo modo d' intendere lo
sport non mi riferisco solo al fenomeno importantissimo e sempre più diffuso
tra la gente della pratica sportiva in prima persona ed in modo totalmente
ludico ed amatoriale, ma anche ad un possibile ed auspicabile modo di vivere lo
sport d'élite. Le maggiori difficoltà ed ambiguità d'intendimenti emergono
infatti soprattutto in questo settore ed è in rapporto ad esso che si rende più
necessaria l'educazione allo sport ed il ruolo di una non superficiale cultura
sportiva filtrata dalla scuola e dai mass-media affinché lo sport sviluppi
realmente tutte le sue potenzialità educative. A questo punto va definito però
un altro concetto, quello di agonismo, di
competizione, da cui dipende grandemente il modo di praticare,
organizzare, formare allo sport, ma anche l'attività pedagogica in generale.
Come il gioco l'agonismo è una
motivazione primaria che spinge alla pratica sportiva ed è una motivazione che
comincia ad emergere nella seconda infanzia (6 - 11 anni) come bisogno di
confrontarsi e misurarsi con gli altri e non solo nelle attività motorie.
L'agonismo è basato in parte
sulle tendenze aggressive dell'essere umano, disposizioni che contrariamente a
concezioni idealistiche e mistificanti, non considero né antivitali, né
negative.
Non esistono infatti in natura
istinti e azioni aggressive e sessuali antivitali, esse lo diventano solo con
il libero arbitrio e la ragione umana in contesti socio-economici che
pervertono le funzioni vitali ed in cui l'alleanza con la natura è persa.
Occultare questo, significa
occultare il ruolo giocato dalle strutture socio-economiche nel favorire
l'alienazione e la brutalità umana e il non volersi assumere la responsabilità
di cambiarle.
La competizione diviene
nevrotica e brutale solo quando si carica dell'aggressività distruttiva, sadica
(generata da frustrazioni e rimozioni di bisogni ed esigenze sane come ad
esempio la sana aggressività nel rivendicare i propri diritti, il bisogno
d'amore, ecc.), solo quando in essa vengono incanalate richieste che dovrebbero
agire altrove.
Si dice che nello sport di per
sé c'è violenza perché c'è agonismo, competizione, ma non si dice una cosa
corretta, perché è necessario competere e definire lo stesso termine di
competizione nel modo adeguato.
Cùm pètere significa infatti
"dirigersi verso" un certo obbiettivo, ed anche "cercare
insieme" ad altre persone che mirano al loro autosviluppo, la ricchezza e
il limite delle proprie potenzialità attraverso il confronto reciproco e la
sfida, senza distorcere l'immagine dell'avversario o essere spezzati da essa.
(Questo è anche il significato originario dell' "agone", della gara
fondata su un deciso impegno e spirito di emulazione).
Il vero grande atleta è in
questo senso un esploratore, uno scopritore di nuovi mondi interiori che riesce
a comunicare anche agli altri, divenendo a sua volta un facilitatore
delle altrui potenzialità.
La competizione
creativa, in cui è possibile accedere a "peak experiences" (esperienze di punta,
raggiungimento di uno stato alto e altro della mente), si differenzia così
dalla competizione nevrotica (riduttiva e distorcente) e definisce la
pratica sportiva come pratica conoscitiva attraverso la strada maestra del
corpo. E' in effetti proprio nel conflitto, nella sfida, che l'uomo mette in
gioco tutto se stesso, rivela la propria unicità, può bilanciare le
unilateralità e superarsi giocando nuovi giochi.
Nella competizione creativa
tendono progressivamente a ricomporsi gli aspetti apollinei di regolazione
razionale del comportamento (non di autocontrollo e corazzamento ossessivo),
con gli aspetti dionisiaci di gioco, di festa, di liberazioni di motivazioni profonde.
Solo considerando in questo modo la competizione l'atleta diviene automotivato e, al di là di
gratificazioni esterne, di premi, riconoscimenti e beni (ossessivamente
essenziali all'atleta nevrotico per compensare il suo senso interno di vuoto e
di non valore), può vivere una lunga e comunque significativa carriera
sportiva.
E' per promuovere questa idea
di agonismo che l'Unità Operativa di Psicologia dello Sport di Tirrenia opera
utilizzando strategie autoregolative d'autosviluppo
(da intendersi come approcci favorenti la flessibilità in chi le usa e non
tecniche repressive d'autocontrollo per programmare ottusi oggetti meccanici)
nel settore sportivo più d'élite, per far sì che il mondo dello sport in tutti
i suoi aspetti, sia veramente una scuola, un'area di facilitazione
dell'individuazione della persona.
E questo è tanto più
significativo quanto più diviene evidente il potenziale di rischio
rappresentato dall' istituzione famiglia,
anche nella sua versione più moderna. Non mi riferisco qui a quegli insiemi
"naturali" di persone unite da rapporti d'amore e di passione, quanto
a quell'organizzazione coercitiva altamente formalizzata e azienda (piuttosto
diffusa per la verità) che lo psichiatra W. Reich definiva come "famiglia
coattiva".
Nella famiglia e nel
neofamilismo contemporaneo si è assistito infatti ad uno spostamento dei figli
"da una posizione relativamente periferica, ad una posizione di assoluta
centralità", ma questo fatto invece di recare grandi vantaggi, ha
comportato notevoli patologie e devastazioni nella vita degli individui e nella
loro libertà.
Il mutamento occorso nella
struttura familiare è intrinsecamente connesso allo sviluppo del capitalismo
maturo ed alla svalutazione e alienazione in questa società dell'individuo che,
non potendo trovare in essa spazio e sostegno, è spinto a trovare compensazioni
simboliche e a delegare la propria protezione al "clan famiglia",
protezione per cui paga altissime tangenti, quanto più è senza potere.
Così un ragazzo, che
difficilmente trova un'adeguata collocazione nel sistema socio-economico alle
prese con nuove e continue ristrutturazioni, è spinto a vivere una sempre più
lunga adolescenza parcheggiando e subendo una distruttiva dipendenza sine die
nel suo clan privato (privato, ma senza intimità).
E la famiglia sa fare buon uso
sociale e privato dei suoi beni di rappresentanza, dalla casa, all'auto, al
figlio-oggetto, e tutta la patologia comportamentale e psicosomatica relativa
ai membri del clan familiare sempre più in primo piano nella letteratura
psichiatrica e giuridica, ne fa fede.
Figli utilizzati nei giochi al
massacro, nei giochi psicotici e di potere della "coppia" (se così si
può chiamare) genitoriale, o al momento della rottura sancita di un'inesistente
coppia, violenze psicologiche e sessuali non solo nei confronti dei minori e non
solo di alcuni uomini verso le donne, ma anche (e su questo il femminismo non
ha fatto ancora ben luce), di alcune donne - novelle Medee senza il fascino del
mito - verso l'uomo, utilizzando i figli e la loro distruzione come ricatto.
Ugualmente funeste risultano certe false e ostentate armonie di coppie che
invece di affrontare una sana separazione "resistono per il bene dei
figli" e la cui comunicazione è contrassegnata da
"pseudoreciprocità". Inoltre a volte l'estrema dolcezza da parte di
un genitore verso il figlio può essere fortemente "doppio-legante" e
insidiosa minando l'autonomia del bambino.
Non meno infrequente è lo
sfruttamento di un figlio o di una figlia quale sostituto di un partner
sentimentale e/o sessuale ("deviazioni intergenerazionali") in caso
di impotenza e di gravi problemi psicologici del o dei genitori. Dietro la
formale facciata moralistica, il gruppo di una famiglia (coercitiva e doppio legante) visto in un interno svela
tutta la sua patologia e pornografia.
In questo scenario sociale,
l'ambiente dello sport, della scuola in genere potrebbe diventare
un'area che in qualche modo riattivi il processo di crescita e individuazione
spesso e volentieri arenatosi negli stalli familiari, sempreché non si ripetano
all'interno di questi ambienti, i perversi moduli comunicativi della famiglia
coercitiva e sempreché la coppia genitoriale non invada anche questa area
franca con i propri giochi narcisistici di potere. Ciò accade ad esempio quando
un genitore adopera le performance sportive o scolastiche del figlio-oggetto
per esibirsi, espropriando il figlio del corpo e del desiderio del gioco, della
motivazione allo sport e alla conoscenza.
Il figlio-oggetto
(rappresentante simbolico della potenza e del prestigio genitoriale e nuovo
trastullo concesso alla vuota identità e ai timori e tremori di mamma e papà)
viene spesso e volentieri avviato precocemente allo sport, alla scuola, vestito
con vestiti firmati e "più" (più di quelli di altri bambini "che
dovranno morire d'invidia"), con feste di compleanno, di comunione e
cresima "più", cinicamente addobbati per le feste della mamma e del
papà in una inarrestabile ostensione totale e disconoscimento del
figlio-persona che diviene sempre meno nell'essere "più".
Questa è la scuola di deleterio
agonismo approntata dal narcisismo genitoriale a cui il figlio-oggetto spesso
si ribella (e cede) con disturbi dello sviluppo, problemi psicosomatici e
caratteriali, o a cui cede totalmente divenendo a sua volta marionetta e
burattino.
Da ciò l'importanza di
"educare gli educatori" e di favorire l'inserimento anche nella
scuola, di quelle pratiche
autoregolative d'autosviluppo utilizzate nella routine dello sportivo.
Qualche anno fa, prendendo a
modello l'esempio del sistema scolastico svedese che ha introdotto nel corso di
educazione fisica il Training Mentale per fasce di età e la necessità di
"educare al rilassamento" gli insegnanti, auspicai l'adozione di
simili metodiche anche in Italia. Lo auspico ancora e avanzo nuovamente tale
idea, perché sempre più la società fa richieste al mondo dello sport e della
scuola. Lo fa direttamente e nel modo più sano, quando masse crescenti di
persone giovani e meno giovani chiedono di uscire dalle privazioni sensoriali,
dall'ipocinesi mentale e fisica in cui si trovano a vivere, volendo praticare e
sperimentare in prima persona e insieme agli altri i vantaggi dello sport; lo
fa indirettamente, ed in modo più insano e violento, quando il cittadino
inerte, dall' identità precaria, irrompe
con violenza nello scenario dello stadio reclamando, attraverso una sorta di
funesto "teatro della crudeltà", immagine e presenza. E tutte queste
sono anche richieste di uno sviluppo maggiore della democrazia, di gestione in
prima persona delle cose, compreso il gioco dello sport.
Compito duro e difficile, ambizioso e importante, spetta perciò all'educazione ed allo sport in questo momento storico. Si tratta di fare scelte che non sono solo culturali, ma anche politiche, e con esse il mondo politico dovrà confrontarsi.
Si veda anche il video "Sport, violenza ed educazione" :
https://www.youtube.com/watch?v=xsXdCT37m5A
Tutti questi motivi li ho ritrovati poi nel 2000 sostanziati dalla realtà dei fatti ed anche dalla ‘liquida’ analisi di Zygmunt Bauman.
2) “Nuova forma mercuriale di coercizione…”
Compito duro e difficile, ambizioso e importante, spetta perciò all'educazione ed allo sport in questo momento storico. Si tratta di fare scelte che non sono solo culturali, ma anche politiche, e con esse il mondo politico dovrà confrontarsi.
Si veda anche il video "Sport, violenza ed educazione" :
https://www.youtube.com/watch?v=xsXdCT37m5A
Note :
1) “..Gestalt
instabili e fluttuanti nel campo sociale e istituzionale..”
Alludo al crearsi e ricrearsi continuo di strutture e formazioni
sociali, economiche, e politiche, sempre più fluttuanti, cangianti, effimere
funzionali al procedere delle continue crisi e conseguenti ristrutturazioni del
sistema capitalistico occidentale (nelle sue varie espressioni)
Ritorno anche in questo scritto, come in “Transformazioni
del femminile”(il post precedente) su alcuni concetti e temi
molto presenti nel mio saggio su W. Reich (citato nella bibliografia), scritto
che rappresentò in fondo anche un pretesto,
negli anni settanta, per analizzare e cogliere l’evolversi e l’involversi della
modernità e postmodernità.Tutti questi motivi li ho ritrovati poi nel 2000 sostanziati dalla realtà dei fatti ed anche dalla ‘liquida’ analisi di Zygmunt Bauman.
2) “Nuova forma mercuriale di coercizione…”
Mi riferisco qui ad una
forma di controllo pervasivo, intrusivo, mercuriale, liquido..in cui ogni forma
di privacy tende sempre più a scomparire. In questo caso do una connotazione
negativa al termine ‘mercuriale’ generalmente utilizzato da me con connotazioni
positive. Lo stesso accade quando parlo di “cattiva fluidità”. Nel 1968 in
alcuni miei scritti di tipo letterario e soprattutto in quella distopia e
favola semantica che fu “Virus e il Furto di Atlantis”(1968-'70) cominciai a parlare di “Strategie
di Liquefazione” introducendo un concetto
che poi si è espanso in modo rizomatico nella teoria e nella realtà.
Si veda l’altro mio Blog intitolato “Daniela Ripetti-Pacchini
in the Metaxy”.
3) “Cittadino dall’identità
precaria..”
L’incertezza, il senso di
precarietà identitaria, connesso al mondo socio-economico postmoderno, la
fragilità e mutevolezza dei legami sociali e affettivi, anche questo è un tema
ricorrente nel mio pensiero e la pratica clinica da me svolta ha confermato le
osservazioni che andavo facendo sul piano sociologico. Questo stato di incertezza
rende le persone più manipolabili ideologicamente e responsive al multiforme paese dei balocchi
consumistico (Com’è
ampiamente descritto nel mio saggio su Reich).
Riferimenti bibliografici
Vincenzo Cappelletti e Paolo
Casini : Cultura, educazione e Sport – Istituto
della Enciclopedia Italiana 1987.
Ilya Prigogine e Isabelle Stengers : La nuova Alleanza – Longanesi & C., 1979
Ilya Prigogine e Isabelle Stengers : La nuova Alleanza – Longanesi & C., 1979
Daniela Ripetti Pacchini : Attualità, prefigurazioni e limiti del primo
Wilhelm Reich – Università degli Studi di Roma - Facoltà di Psicologia,
1983-1984.
Una trascrizione di questa relazione è pubblicata sulla rivista bimestrale Semaforo Verde (Organo Ufficiale della Croce Bianca), Anno XXVII - N.2, Marzo-Aprile 1990.
Si veda inoltre :
"Chi uccide la gioia negli stadi?" Il mondo dello Sport , atleti, tifosi e operatori (allenatori e manager società di calcio e basket, psicologi, giudici e politici) a confronto al Teatro Quattro Mori di Livorno. Presentatore : Gianni Minà . Psicologi : Daniela Ripetti-Pacchini e Guido Ghirelli.
Da "Il Tirreno", 10 Dicembre 1985.
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